
Dipendenza affettiva o relazionale
Parlando di dipendenza affettiva e dipendenza relazionale in genere, vale la pena precisare come non tutte le dipendenze sono cattive e come tutti gli individui necessitino, per poter crescere e maturare, di buone dipendenze: è proprio nella relazione con i caregiver – le persone che accudiscono / si prendono cura – che il bambino può rafforzarsi, svilupparsi e dare vita alla propria vita affettiva e relazionale. L'individuo necessita di relazioni affettive, conferme, validazione dell'esperienza emotiva, ammirazione, sostegno: di quelle che possiamo definire buone dipendenze. Qui ci vogliamo però occupare di una modalità relazionale in cui l'individuo si rivolge continuamente ad altri o ad una altro specifico, per essere guidato, aiutato, sostenuto in una modalità non buona, non costruttiva e spesso tossica/insotssicante. L'individuo dipendente ha scarsa fiducia in se stesso, necessita di continue conferme ed approvazione oltre che della rassicurazione altrui, pena l'impossibilità di prendere delle decisioni: quanto proviene dal mondo interno non risulta sufficientemente affidabile o valorizzato così da determinare la necessità di "oggetti esterni" (persone) a cui riferirsi continuamente. Freud ricorda come "il fattore biologico - legato alla incompletezza e non maturazione dell'essere umano alla nascita - determina le prime situazioni di pericolo e genera il bisogno di essere amati: bisogno che non abbandonerà l'uomo mai più".

Alcuni individui si trovano a sviluppare dipendenze intense ed eccessive nei confronti di altri, tanto da vivere l'esigenza dell'altro e al contempo un vissuto di costrizione di questa dipendenza senza la quale cadrebbero in uno stato di profonda angoscia. Harlow (1958) prima, con i piccoli di scimmia, Spitz (1965) e Bowlby (1969) poi, attraverso lo studio di bambini orfani od ospedalizzati, ci hanno aiutato a comprendere l'importanza di cure in cui fossero presenti calore affettivo e quella che Winnicott avrebbe chiamato "preoccupazione materna primaria" (1958). Più in generale, accanto alla soddisfazione dei bisogni primari, emergeva la rilevanza di un amore in grado di andare incontro ai bisogni di dipendenza e di permettere le identificazioni necessarie a muoversi dalla dipendenza all'autonomia: non sempre in ogni storia individuale, e per motivi differenti, questo processo avviene in un modo soddisfacente. Da qui lo svilupparsi di relazioni di dipendenza affettiva, cattive dipendenze – a volte da alcool, altre da sostanze o gioco d'azzardo – e conseguenti necessità di riparazione che possono avvenire all'interno di una relazione psicoterapeutica. Proprio Spitz e Bowlby hanno evidenziato le conseguenze dannose che derivano dal trascurare lo stato di dipendenza infantile da cui dipende lo sviluppo della personalità normale nel suo procedere dalla dipendenza all'autonomia attraverso una sempre maggiore differenziazione e individuazione. Tante sono le ragioni dello sviluppo di una personalità dipendente: atteggiamenti frustranti da parte di un genitore, la dipendenza dell'approvazione e del sostegno in connessione al proprio comportamento o ai propri risultati, l'iperprotezione e la mancanza di fiducia inconscia da parte del genitore nei confronto delle risorse possedute dal figlio, la proiezione di problematiche personali del genitore nel figlio che rischia di rispecchiarsi fragile e insicuro anziché capace e competente, o la stessa dipendenza del genitore che necessita del figlio per poter mantenere la propria sicurezza e il proprio ruolo, impedendo così l'evolvere di normali processi di maturazione e le naturali separazioni. Questi sono solo alcuni esempi ma la variabilità individuale ha molte più sfaccettature che tuttavia è possibile indagare e comprendere caso per caso.
Timore d'abbandono, bisogni, autonomia, relazione
Se una reale indipendenza non sarebbe neppure possibile o auspicabile considerato che il rischio sarebbe quello di andare incontro all'isolamento, in alcuni casi la dipendenza affettiva raggiunge forme tali diventare estremamente problematica o patologica: l'individuo diventa allora incapace di prendere decisioni, deve inevitabilmente interpellare diverse persone o una in particolare prima di farlo (spesso facendo una scelta non veramente adatta in quanto cucita addosso all'altra persona e non a se stessi), si sente in uno stato di sottomissione nei confronti dell'altro, ha bisogno di rassicurazioni continue o non riesce a "funzionare bene" senza qualcuno sempre disponibile a prendersi cura di lei.
Caratteristiche che si riscontrano con frequenza nelle persone dipendenti sono un atteggiamento inibito, schivo e il vissuto di sentirsi vulnerabili, indifese nel momento in cui viene a mancare la persona percepita in grado di proteggerle. Temono l'abbandono e nel momento in cui una relazione affettiva giunge al termine ne rimangono intensamente scosse.

Allo stesso tempo non è rara la situazione in cui la persona dipendente tollera una relazione che la fa stare male ma che, allo stesso tempo, garantisce una sorta di sicurezza che non si sente ancora pronta ad abbandonare: in questo caso è possibile il raggiungimento di una sorta di punto di rottura che porta al termine della relazione, spesso in una modalità esplosiva e distruttiva. Il timore dell'abbandono è tale da portare le persone dipendenti a fare cose spiacevoli o degradanti pur di garantirsi la vicinanza dell'altro. Sono disposte a tollerare oltre i limiti "del giusto" fino a permettere all'altro di diventare intrusivo psichicamente o fisicamente.
Nella dipendenza affettiva sono frequenti vissuti di malessere psicologico e fisico, di oppressione, la percezione di non possedere una base sicura interna su cui poter contare, è assente la reciprocità della vita affettiva è forte la richiesta all'altro che subisce pressioni intense dalla persona dipendente. Quest'ultima condizione è anche ciò che porta di frequente all'abbandono della persona dipendente che con il suo comportamento mette in atto tutte quelle condizioni che portano alla realizzazione della sua maggior paura: l'abbandono. Il bisogno lecito, rischiando di trasformarsi in eccessivo e vorace porta il partner a cercare una fuga nell'impossibilità di soddisfare un bisogno, insoddisfabile, "oltre il possibile". Nella ricerca del partner la persona dipendente spesso cerca l'oggetto in grado di riparare la ferita di un tempo e di colmare quei vuoti di nutrimento risalenti ad un antico passato. Il partner tuttavia inevitabilmente fallisce in questo incarico di cui è stato inconsapevolmente investito e che tuttavia aveva tacitamente accettato: da qui la ripetizione del trauma e la conferma di un bisogno insoddisfabile in questa modalità.
Spesso nella dipendenza affettiva la persona non riesce a riconoscere i propri bisogni, a chiedere, e tende a subordinare quanto potrebbe desiderare ai bisogni dell'altro. Vengono dedicate molte energie e risorse al partner o alla soddisfazione compiacente dei bisogni dell'altro e, di conseguenza, poca attenzione viene dedicata alla propria crescita personale in una direzione avvertita come veramente adatta a sé. Non di rado l'individuo mette a repentagli la salute e sicurezza, propria e dell'altro, pur di mantenere un legame che poggia su presupposti intossicanti ma non rinunciabile.
Se l'oblatività e l'eccessiva disponibilità potrebbero apparentemente far pensare ad una sorta di accentuata generosità, dobbiamo anche tenere conto che è spesso particolarmente presente la soddisfazione del bisogno di sicurezza che comporta "il dare per garantirsi qualcosa". Prendersi cura di sé diventa complesso nel momento in cui la fantasia inconsapevole è che "se mi occuperò più di me allora il rischio sarà la ritorsione o l'abbandono".

Altra tematica è quella della svalutazione del Sé per cui tutte le 'cose buone' sono fuori e tutte le 'cose inadatte', inutili o cattive sono dentro. E allora anche il proprio pensiero, la propria idea o quanto percepito affettivamente non può assumere valore, significato e viene ricercato fuori, nell'altro che, pur potenzialmente portatore di qualcosa di non adatto, viene invece inconsapevolmente eretto a detentore del sapere e della verità.
Tra le persone dipendenti spesso troviamo persone gentili, diligenti, dedite e pronte al sacrificio ma in un modo che non tiene conto delle risorse disponibili e delle proprie possibilità: il dare diventa un attacco verso sé stessi nel momento in cui diventa eccessivo e impedisce il mantenimento di un sufficiente benessere personale o di un dignitoso stato di salute.
Allo stesso tempo è intenso il timore del cambiamento che potrebbe andare a scardinare il raggiungimento di una apparente stabilità o la perdita di quell'appoggio percepito come vitale o non sostituibile.
Compito della psicoterapia diventa allora favorire la ripresa di quel processo di maturazione e crescita in grado di fornire quegli strumenti ancora non posseduti, di acquisire una base interna sicura su cui poter contare così da potersi muovere nel mondo e incontrare l'altro mossi da desideri maturi, reciproci e non per il soddisfacimento di bisogni inconsci non soddisfabili da chi non ne è sufficientemente attrezzato. Da qui la possibilità di intraprendere relazioni mature e soddisfacenti.